Il nuovo DPCM del 10 aprile consente, quindi, la riapertura delle attività di commercio al dettaglio di vestiti per bambini e neonati (allegato 1), senza precisare il codice ateco di riferimento, nel rispetto dei requisiti igienico sanitari al fine di evitare il contagio (L’attività deve essere svolta con le seguenti precauzioni sanitarie: rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, utilizzo di guanti e mascherine sanitarie di protezione).
In propostito, alleghiamo le risposte della Direzione Legale della Confcommercio prontamente date alle richieste di approfondimento sui seguenti quesiti di Federazione Moda Italia :
DOMANDA 1
Se un negozio vende abbigliamento sia da adulto sia da bambino è possibile aprire organizzando un’aerea dedicata esclusivamente ai bambini?
DOMANDA 2
I negozi che vendono calzature da bambini (non esiste un codice ATECO di riferimento specifico, ma solo il più generico 47.72.10) e rispondono alla medesima esigenza di apertura riconosciuta dal DPCM, possono riaprire predisponendo un’area di vendita dedicata alle sole calzature per bambini?
DOMANDA 3
Premesso che il DPCM del 10 aprile, parla di commercio al dettaglio di vestiti per bambini e neonati, quale è l’età dei bambini a cui è destinata la vendita di prodotti ?
Nell’esaminare le nuove attività commerciali al dettaglio consentite ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. z), del DPCM, bisogna innanzitutto rilevare un mutamento nell'approccio utilizzato dal legislatore. Infatti, se nella redazione dell'allegato 1 al DPCM 11 marzo, le attività consentite erano state individuate richiamando precisamente le definizioni di cui alla classificazione Ateco 2007, le nuove attività consentite sono indicate in maniera più generica.
La circostanza che le attività di "Commercio al dettaglio di vestiti per bambini e neonati" indicate nell'Allegato 1 del DPCM non siano elencate impiegando esattamente la definizione di cui alla classificazione Ateco, che fa riferimento alle "Commercio al dettaglio di confezioni per bambini e neonati", POTREBBE ESSERE indicativa della volontà di consentire una gamma di attività più ampia, eventualmente anche ricomprendendo la vendita di calzature.
Le disposizioni del DPCM, tuttavia, continuano a evidenziare un carattere fortemente restrittivo (vedi, ad esempio, il regime delle comunicazioni al Prefetto, che, per certi versi, sembra divenire addirittura più rigoroso o le misure per gli esercizi commerciali raccomandate all'allegato 5) e anche la scelta di consentire alcune nuove attività non può essere considerata un primo passo verso la cosiddetta "fase 2" di ritorno alla normalità quanto, semmai, il riconoscimento che i provvedimenti emanati in precedenza avevano lasciato dei vuoti che era indispensabile colmare (es. le difficoltà di approvvigionamento di prodotti di cartoleria per le famiglie determinate dalla didattica a distanza che avevano indotto diverse regioni a consentire deroghe alla vendita di tali prodotti).
Ci sembra quindi opportuno, IN ATTESA CHE ARRIVINO I PRIMI CHIARIMENTI UFFICIALI, EVITARE INTERPRETAZIONI ESTENSIVE, mantenendo l'approccio fin qui utilizzato, anche perché, per il resto, l'elenco di cui all’allegato 1 al DPCM 11 marzo è stato confermato integralmente con le definizioni già in uso.
Pertanto, riteniamo che gli esercizi che ordinariamente commercializzano sia abbigliamento per adulti che per bambini, possano vendere vestiti per bambini e neonati a condizione che sia stato loro attribuito anche il codice Ateco relativo a tale attività (47.71.20). L’attività dovrà, tuttavia, essere circoscritta alla sola vendita di vestiti per bambini e neonati, in analogia a quanto indicato nella FAQ che correttamente avevamo riportato, e con i medesimi accorgimenti organizzativi ai quali, dal 14 aprile, si aggiunge un'attenta valutazione delle misure specifiche per gli esercizi commerciali di cui all'allegato 5 del DPCM del 10 aprile ("Misure per gli esercizi commerciali":
Purtroppo, in questa fase, la commercializzazione di CALZATURE PER BAMBINI E NEONATI in esercizi privi del predetto codice Ateco, potrebbe essere quasi sicuramente OGGETTO DI CONTESTAZIONI, per quanto astrattamente coerente con la scelta di consentire la vendita di vestiti destinati ai medesimi utilizzatori.
Per quanto riguarda la DEFINIZIONE DI BAMBINO, nella prassi e nel linguaggio comune (cfr. allegato rapporto GruppoCRC sulla Convenzione dei diritti del fanciullo), un minore è considerato bambino/a (si parla anche di fanciullo/a oppure, relativamente alla fase, di infanzia, con le varie sottoclassificazioni, etc.) tendenzialmente fino alla preadolescenza (fino a 10-12 anni), dopo inizia ad essere considerato/a ragazzo/a...
Non a caso ci sembra di poter rilevare, sempre dalla comune esperienza, che nei negozi di abbigliamento le taglie per bambini generalmente arrivano proprio fino a 10/12 anni.
Sotto questo profilo ci sarà anche un approfondimento del Settore tributario della Confcommercio per verificare l'eventuale esistenza di disposizioni di natura fiscale/tributaria che possano essere di supporto all'interpretazione esposta.
Anche la precisa individuazione dei prodotti che, in concreto, potranno essere commercializzati, comporta notevoli difficoltà.
Poiché la scelta del legislatore non è volta a consentire l'acquisto di abbigliamento a un pubblico adulto, è evidente che bisognerà gestire l'attività di vendita in modo da assicurare che ciò che si vende sia, almeno per quanto ragionevolmente prevedibile, destinato a vestire bambini e neonati.
Per fare un esempio, la scelta del produttore di evidenziare sul prodotto la fascia d'età cui lo stesso è destinato, ci sembra sufficiente a includerlo tra quelli che possono essere venduti senza problemi.
È evidente, tuttavia, come non sia possibile individuare a priori una regola valida in ogni caso. È quindi ragionevole immaginare che gli organi di controllo verificheranno il corretto rispetto delle disposizioni prendendo in considerazione l'attività del punto vendita nel suo complesso.